Sunday 3 June 2012

Alessandro Mazzone. Introduzione a MEGA2: Marx ritrovato grazie alla nuova edizione critica, a cura di Alessandro Mazzone, Roma, Mediaprint. 2002.


MEGA2: Marx ritrovato grazie alla nuova edizione critica, a cura di Alessandro Mazzone, Roma, Mediaprint. 2002. Mazzone, Fineschi, Hecker, Hubmann, Münkler, Neuhaus, Sylvers.

Indice e introduzione

Indice

Alessandro Mazzone    

Introduzione


Gerald Hubmann, Herfried Münkler, Manfred Neuhaus
La MEGA2: riorganizzazione e continuazione (38.443)

Roberto Fineschi
Per la storia della MEGA

Rolf Hecker
La seconda sezione della MEGA2 verso il completamento

Malcolm Sylvers
La biblioteca di Marx ed Engels e lo studio della storia statunitense e italiana

Roberto Fineschi
MEGA2: dalla filologia all’interpretazione critica. Un resoconto sul dibattito tedesco sulla teoria del valore negli anni ’70-’80

Appendici
  1. Piano complessivo della MEGA2 (RF)
  2. Dalle nuove linee editoriali della IMES (RF)
  3. Piani di Marx per Il capitale dal 1857 al 1866 (RF)
  4. Schizzo della storia e della stesura e della pubblicazione del Capitale di Marx (RH)
  5. Edizione dei manoscritti per il II libro del Capitale (RH)

Bibliografia italiana relativa alla MEGA2

Riviste e pubblicazioni attinenti alla MEGA2

Introduzione

Alessandro Mazzone

1.  Un’ esigenza soddisfatta dopo tre quarti di secolo.
“Se si vuole studiare la nascita di una concezione del mondo che dal suo fondatore non à stata mai esposta sistematicamente (e la cui coerenza essenziale è da ricercare non in ogni singolo scritto o serie di scritti, ma nell’intero sviluppo del lavoro intellettuale vario in cui gli elementi della concezione sono impliciti), occorre fare preliminarmente un lavoro filologico minuto e condotto col massimo scrupolo di esattezza, di onestà scientifica, di lealtà intellettuale, di assenza di ogni apriorismo o partito preso.” Questo scriveva Antonio Gramsci nel 1930, in apertura di una  “prima serie” di “Appunti di filosofia” (Quaderno 4)[1]. E aggiungeva alcuni criteri, che il lettore d’oggi può confrontare con i principi ispiratori della edizione storico-critica dell’opera di Marx e di Engels,  finalmente avviata, e giunta a buon punto. Primo: “ricostruire il processo di sviluppo intellettuale del pensatore dato, per identificare gli elementi divenuti stabili e ‘permanenti’, cioè che sono stati assunti come pensiero proprio, diverso e superiore al ‘materiale’ precedentemente studiato e che ha servito di stimolo; solo questi elementi sono momenti essenziali del processo di sviluppo”. (Oggi possiamo aggiungere: la Sezione IV della MEGA2 mette lo studioso in condizione di conoscere quel ‘materiale’ e di ripercorrere le fasi della sua utilizzazione e rielaborazione). Secondo:  “ricostruzione della biografia non solo per ciò che riguarda l’attività pratica ma specialmente per l’attività intellettuale”, e “registro di tutte le opere, anche le più trascurabili, in ordine cronologico, diviso secondo motivi intrinseci: di formazione intellettuale, di maturità, di possesso e applicazione del nuovo modo di pensare e di concepire la vita e il mondo”. (Oggi constatiamo che quella divisione secondo motivi intrinseci viene emergendo anche attraverso il lavoro storico-critico pluridecennale che ha accompagnato la MEGA2 , anche in riviste specializzate,[2] e continuano ad esserlo in sedi adatte, utilizzando i testi via via decifrati e criticamente editi: ma non  è più considerata oggetto diretto dell’edizione critica.)
“Questo lavoro preliminare rende possibile ogni ulteriore ricerca”, aggiunge Gramsci più tardi[3]. Ma già nella redazione del 1930 indica criteri per il “caso specifico”, cioè Marx.  Eccoli. Innanzitutto,  distinguere l’opera letteraria in  “1, lavori pubblicati sotto la responsabilità diretta dell’autore: tra questi devono essere considerati, in linea generale [anche] lettere, … circolari ecc.; 2) opere non stampate sotto la responsabilità diretta dell’autore, ma da altri, postume.  … Di queste sarebbe bene avere il testo diplomatico, ciò che è già in via di essere fatto, o per lo meno una minuziosa descrizione del testo originale fatta con criteri diplomatici”[4]. Inoltre, “dovrebbe essere minuziosamente studiato e analizzato il lavoro di elaborazione compiuto dall’autore sui materiali delle opere da lui stesso stampate”. Su questa base, occorrerà “valutare criticamente l’attendibilità delle redazioni compilate da altri delle opere postume”. Finalmente, poiché “solo in seconda linea, nello studio di un pensiero originale e innovatore, viene il contributo di altre persone alla sua documentazione”, è pacifico per Gramsci che non si tratta di “porre in dubbio l’assoluta onestà scientifica” [di Engels], ma del fatto che “il secondo non è il primo, e se si vuol conoscere il primo occorre cercarlo specialmente nelle sue opere autentiche” (Anche questo è avvenuto ora: in particolare, ma non solo, per le “redazioni preparatorie” del  Capitale, su cui torneremo più avanti. Tutti i ms. di Marx,  utilizzati o no da Engels per l’edizione del II e III libro del Capitale nel 1885 e 1894, come pure le redazioni ms. engelsiane in vista di quell’edizione, vengono pubblicati a parte nella II sezione della MEGA2 ).

Che un classico debba essere edito e studiato secondo tali criteri, e che essi siano indispensabili, non era una novità per i lettori di queste Note di Gramsci, quando esse furono pubblicate per la prima volta nel Materialismo storico (1948). Infatti, anche se la nozione di “autori della prima classe” risaliva ai filologi alessandrini, la necessità della lettura storico-critica si impone solo grado a grado, dopo l’Umanesimo, insieme con la consapevolezza che il patrimonio di pensiero antecedentemente svolto è strumento e base della consapevolezza di sé di una collettività nel suo divenire. Per questa via, come si sa, si sviluppa tra Settecento e Ottocento anche la filologia come disciplina storica e strumento di storia.

Insomma: la lettura storico-critica di un classico è conquista irrinunciabile della cultura moderna. E così anche recentemente, quando la prosecuzione della MEGA2 parve rimessa in forse, dopo il 1989, si è trattato di mostrare che, nonostante l’uso strumentale che l’espressione “classici del marxismo” aveva potuto coprire[5], Marx è appunto un classico, patrimonio della filosofia e della scienza, e va reso disponibile allo studio e alla riflessione, dunque  alla conoscenza critica del mondo presente. Per riconoscere questo, non c’è stato e non c’è alcun bisogno di dichiararsi “marxisti”.[6]

2. Rigore e storia.
Vedere nell’esigenza critica formulata da Gramsci uno scrupolo dell’antico studente torinese di humanae litterae divenuto dirigente dell’Internazionale e che rimedita e rielabora, in carcere, la propria attività, sarebbe riduttivo e superficiale: non solo, ma implicherebbe una forzatura dei testi in quell’esigenza viene formulata.
Gramsci parla proprio di “fondazione”di una ”concezione del mondo”: e questa è tanto poco creazione individuale quanto semplice visione politica. Una “nuova Weltanschauung” non può insorgere, se non è in qualche misura formulabile; e non lo è, senza essere almeno parzialmente implicita in una o più dimensioni della pratica sociale complessiva, della quale tutto il passato è documento, e che comprende naturalmente le filosofie antecedenti. Ma sentiamo Gramsci: “posta la filosofia come concezione del mondo e l’operosità filosofica non concepita più solamente come elaborazione ‘individuale’ di concetti sistematicamente coerenti, ma anche … come lotta culturale per trasformare la mentalità popolare e diffondere le innovazioni filosofiche che si dimostreranno ‘storicamente vere’ nella misura in cui diventeranno… storicamente e socialmente universali”[7], la “storia della filosofia come si intende comunemente, cioè  la storia delle filosofie dei filosofi,” acquista un rilievo particolare: essa è “storia dei tentativi e delle iniziative… per mutare, correggere, perfezionare le concezioni del mondo esistenti in una determinata epoca, e per mutare quindi le conformi e relative norme di condotta, ossia per mutare l’attività pratica nel suo complesso”[8] Da questi princípi[9],  che sono immanenti alla “mondanizzazione e terrestrità assoluta del pensiero” allo “’storicismo’ assoluto… [proprio] della filosofia della prassi”[10], discendono criteri particolari per la ricostruzione storico-critica  dell’opera di Marx, e per il suo studio.  Primo. Nella “ricostruzione della biografia intellettuale” [di Marx] vanno rintracciati e riconosciuti “gli elementi di spinozismo, di feuerbachismo, di hegelismo, di materialismo francese ecc.”. Questi ci sono, e “lo hegelismo [fu] il più importante”[11]: ma altra cosa è “la nuova sintesi… il nuovo modo di concepire la filosofia, i cui elementi sono… dispersi negli scritti” di Marx, “e che appunto bisogna sceverare e sviluppare coerentemente”. Secondo. Codesto “sceverare e sviluppare” non può consistere, immediatamente, nel ricondurre quegli “elementi” a “sistema”.  In primo luogo, perché il “sistema” è sempre opera di singoli filosofi, e come tale inevitabilmente storico e affetto, insieme, di “caratteri individuali e antistorici”. In secondo luogo, la “classicità” di una filosofia, quando si realizza e può essere esposta, è essa stessa risultato di un processo culturale, “egemonico”[12], al di fuori del quale le antitesi interne tenderanno ad esser risolte in mere “conciliazioni verbali”, intellettualisticamente.
Da tutto questo risultano tre conseguenze.
In primo luogo, che  le espressioni “storicismo integrale” e simili non hanno già la funzione di “principi fondamentali assoluti” da cui dedurre tutto il resto[13], ma di semplici direttive di ricerca, nelle quali è indicato riassuntivamente,  per noi - cioè per lettori e attori hic et nunc, - uno svolgimento di cultura posseduto, e su cui possiamo lavorare.
In secondo luogo, che il problema della “dialettica reale” della nuova visione del mondo, della sua capacità di ispirare e orientare filosoficamente l’attività di chi l’abbia assimilata e fatta propria, e poi di divenire figura “più raffinata e decisiva” di una cultura universalmente diffusa e operante, non è un problema “politico”, né molto meno di arte della persuasione e propaganda, ma, a monte, una questione di verità. Verità non “data” una volta per tutte (anche se formulabile a molti livelli, e – in quanto divenga “storicamente e socialmente universale” - capace di espressioni “classiche”): ma verità realizzabile e verificabile in ogni dimensione dell’esperienza degli uomini[14].
Terzo, che la “filosofia della prassi” può svilupparsi in molti settori  – anzi, in linea di principio, in  tanti livelli e settori quanti sono quelli della vita sociale e della cultura. Condizione preliminare  di tutto ciò è però, per noi,  la ricostruzione critica, lo studio diretto e  rigoroso dei lavori in cui essa venne formulata come teoria e come filosofia.

Riassumendo. Il contesto in cui Gramsci pone l’esigenza di uno studio storico-critico di Marx è esplicitamente quello della ripresa, e generalizzazione,  di un concetto svolto da Antonio Labriola nei Saggi. Il concetto di  un processo, nel quale “le idee non cascano dal cielo”, ma insorgono per “inevitabile suggestione di un nuovo mondo che si sta generando”, fino a “maturare nelle menti” i due concetti della “immanenza e costanza del processo nei fatti storici” e della “dottrina materialistica”, in quanto essa non è, “in fondo” che “teoria obiettiva delle rivoluzioni sociali”.[15]

Il processo in questione  è in sé duplice. Questo appare chiaramente tanto nei Saggi labriolani che, poi, nei Quaderni di Gramsci. Per un aspetto, esso è l’espansione graduale e irrefrenabile del modo di produzione moderno, capitalistico, che sconvolge e riplasma tutti i precedenti rapporti e, con loro, le rappresentazioni che gli uomini avevano avuto della propria attività e di se stessi. Rientra in quest’aspetto la sussunzione di rapporti, istituti, configurazioni sociopolitiche precedenti, che vengono integrate e modificate nel nuovo assetto dei popoli, e del mondo. Per l’altro aspetto, e insieme,  il processo è l’insorgere della trasparenza possibile dell’agire umano complessivo, a se stesso[16].  Questo indica, in primo luogo, il termine “filosofia della prassi”:  un  moto reale, iniziato soltanto e mai chiuso in enunciazioni definitive, orientato filosoficamente nel mondo in fieri di cui la nuova Weltanschauung è espressione, ma vivente solo nell’esperienza di quel mondo, nella sua elaborazione e  finalizzazione all’autogoverno del corpus hominum et rerum.

Lo sviluppo della “filosofia della prassi” non è mai garantito. Labriola vedeva una “pausa” in cui “il  socialismo” entrava a fine ‘800. Era una “pausa” del “socialismo” come egli l’aveva inteso e tratteggiato nel primo Saggio, sviluppo “organico” della “democratizzazione delle masse” nei Paesi  in cui più direttamente continuavano le due grandi rivoluzioni, economica e politica, della ”età liberale”. Gramsci scrive dopo la prima grande guerra interimperialistica, che della “democratizzazione delle masse“ aveva fatto cimiteri e violenza, e dopo lo “evento ‘metafisico’”, sì, della “affermazione teorica e pratica del concetto di ‘egemonia’ per opera di  Iliči“[17], ma che egli era ben lontano dal ritenere meccanicamente, o anche politicamente estensibile al resto del mondo. La contraddizione, ossia l’unità del processo, doveva esser concepita in modo adeguato alla unificazione in fieri, e alla figura imperiale, antagonistica, in cui essa si veniva attuando. Questo implicava che la “distruzione di tutti i concetti astrattamente universali” si estendesse anche alle nozioni di “progresso”, di espansione della civiltà ecc.17a – Di conseguenza, la doppia affermazione che la filosofia della prassi, da un lato “presuppone tutto [il] passato culturale…” dell’Europa moderna,  dall’altro è una “concezione nuova, indipendente e originale“, in cui si manifesta “una nuova cultura in incubazione, che si svilupperà con lo svilupparsi dei rapporti sociali”[18] porta ora il problema concettuale  dell’insorgere della nuova Weltanschauungsu su un terreno concettuale più ampio, che la ricerca genericamente “storica” delle sue fonti non può da sola coprire[19]. Altrettanto, il problema dello sviluppo della filosofia della prassi  a “vera filosofia” nel senso della “dialettica reale” sua, del suo divenire anche nuovo senso comune, consapevolezza e tendenza di sviluppo interna di una “nuova civiltà” è, sul terreno teoretico, quello della dimensione epocale (cioè storica e non politica) del mondo moderno e della sua cultura, di cui “la filosofia della prassi è stata un momento”[20].


In questa prospettiva, la lettura storico-critica dell’opera intera di Marx diventa inscindibile dall’esigenza di una “nuova critica delle fonti”.[21] Di tutte le fonti s’intende, in quanto solo in esse è possibile  rintracciare il doppio processo di modernizzazione-unificazione capitalistica del genere umano, anche attraverso i suoi orrori e sopraffazioni e ingiustizie (non più paragonati a un a astratta universalità dei “diritti dell’Uomo”, però), e di presa di coscienza del processo stesso nei suoi attori, fino all’autogoverno razionale e libero della loro vita, che lo svolgimento epocale del modo di produzione capitalistico rende pensabile per la prima volta.
Ma in particolare, diventa indispensabile un nuovo studio delle fonti in cui questa presa di coscienza si era avviata, nel solo modo possibile, come filosofia e come sapere critico dell’economia e dei rapporti umani in genere. Si può dire che in ciò risiede il “senso” dello studio critico di Marx e della teoria marxiana per Gramsci, e prima, per Labriola: ma va tenuto presente che questo “senso” non assume nessuna coloritura dogmatica o mistica[22]. Il principio filosofico della effettuale, e mai garantita, ”filosofia della prassi” non è un qualsivoglia estratto quintessenziale delle “idee di Marx”! Esso è criterio di analisi critica dei processi, tanto “materiali” che “soggettivi”, che gli uomini portano avanti nel loro mondo, ossia, ormai,  nel diveniente-e-universalizzantesi mondo capitalistico.  Rispetto ai  testi, compresi in primo luogo quelli di Marx e di Engels, ma senza relegazione loro in una apriorica autorità che ne impedirebbe la contestualizzazione intellettuale, il medesimo principio filosofico è – un criterio di lettura. Le orme e i luoghi di sviluppo della presa di coscienza del processo della vita associata nella sua forma moderna, capitalistica, se ci sono, sono constatabili, ricostruibili, sviluppabili via via ulteriormente.

Ciò viene in luce, come si può ben intendere,  nella questione dell’ origine e delle fonti della filosofia della prassi;  e, poi, in quella della sua ”storicità”, cioè della obiettiva dimensione storica sua, e della consapevolezza teoretica del suo “limite”, del suo non essere “filosofia ultima”.
Vediamo, in breve, la prima questione. Tanto nei Saggi  di Labriola che nei Quaderni di Gramsci, la origine del”materialismo storico” (“comunismo critico”) è  per noi da ripercorrersi (e anzi, rifarsi) in teorie, conoscenze, autori, sviluppi scientifici che l’han preceduto e sono entrati a sostanziarlo. Ma non  in sé, e soprattutto, non solo.
 La “coscienza teoretica del socialismo”, scrive Labriola nel Saggio del 1895, sta nella consapevolezza del moto della sua genesi[23] e questa, di fronte a fenomeni storici nuovi, va sempre di nuovo riformulata a riguadagnata. Ma una siffatta “coscienza teoretica” è essa stessa processo; essa prende il nome di “socialismo”, in quanto è consapevolezza del moto del mondo moderno inerente al modo di produzione e da lui spinto innanzi; in questo moto soltanto quella coscienza è azione, e azione consapevole. Dunque la “coscienza teoretica del socialismo” è anche prodotto, risultato, di tutto quel moto, con le sue diversità mantenute o modificate. I progressi, contrasti, arresti, “pause” del socialismo non possono esserne staccati (come se fossero arbitrio di singoli). Ma non possono neppure esser ricondotti a puri  principi di dottrina, né a particolari sviluppi di una o altra scienza. Su questo punto insistono tanto Labriola, quanto Gramsci,  che ne rivendica l’impostazione come “solo tentativo di costruire scientificamente la filosofia della prassi”.

Nella Dilucidazione preliminare del 1896 Labriola aveva lumeggiato in iscorcio la tesi che gli antecedenti effettivi della “nuova dottrina” erano da cercarsi in “tutta la formazione della civiltà moderna”.[24] Fulcro di quella incubazione era stata l’esperienza della rivoluzione industriale in Inghilterra, e della Rivoluzione francese (riprodotta poi “in varie combinazioni … in tutto il mondo civile”), quando il “moto vertiginoso” della società stessa  aveva “per così dire ammanniti… i dati della scienza sociale”.[25] In questo quadro era avvenuta, per la “dura lezione dei fatti”, la confutazione della “ricerca della struttura sociale” in “dati logici e psicologici … sotto i vari nomi di  Diritto di natura, di Spirito delle leggi, di Contratto sociale”; erano nati il pessimismo  romantico e il socialismo utopistico. Ma la nuova società borghese, “che ha bisogno di rivoluzionare incessantemente i suoi istrumenti, compreso lo stato e gli ingranaggi giuridici di questo” doveva generare la “dottrina materialistica” come “storicismo obiettivo”[26], come “ritrovamento della autocritica che è nelle cose stesse” e fine delle critiche unilaterali, o derivate da idealità astratte. Perciò, per intendere la genesi del materialismo storico, non basterà  “fermarsi a quelli che diconsi precursori del socialismo, fino a Saint-Simon [e allo ”impareggiabile” Owen] né ai filosofi e segnatamente a Hegel… né agli economisti”. L’intendimento della società come “un qualcosa di per sé stante… [che] segue un suo proprio andamento, dal quale sarà lecito di astrarre delle leggi di processo e di sviluppo”, si accompagna, è vero, all’affermazione generale del  “principio dello sviluppo”, ed è contemporaneo alla “storicizzazione della natura”[27]: ma al verbalismo della “Evoluzione” alla Spencer (e minori ripetitori) Labriola oppone recisamente i “tre ordini di studii” inerenti al “materialismo storico nel suo insieme”: acquisto di una adeguata conoscenza “della specificata condizione del proletariato in ogni paese”, rinnovamento della storiografia, “trattazione dei principi direttivi” nell’ambito della “perfetta immedesimazione della filosofia, ossia del pensiero criticamente consapevole, con la materia del saputo”.[28]
Gramsci va più in là. Non nell’affermazione del nesso solidale tra civiltà moderna e filosofia della prassi, ma nella sua estensione e specificazione, grazie alla concezione della “ideologia” come vera e operante filosofia (“ogni uomo è filosofo”, con quel che segue). Questa concezione apre uno spazio teoretico più ampio al superamento dell’opposizione di “teoria” e “pratica” nel concetto di praxis (che Labriola aveva affermato).[29] L’orizzonte concettuale della coscienza-azione di ogni individuo  pensabile è la totalità del processo umano come processo (da cui il rifiuto di ogni antropologia filosofica fondante[30], il carattere discriminante della nozione di “insieme dei rapporti sociali”[31] come quadro della “questione fondamentale della filosofia”[32], l’affermazione del “valore gnoseologico” della tesi che “gli uomini prendono coscienza di sé e dei loro compiti…[e] contrasti… sul terreno delle ideologie”[33]); ma l’individuo qui ed ora stricte, in ogni istante effettuale, è luogo dell’azione e di ogni azione, tanto vitale che lavorativa e produttiva che “educativa” e “politica”, che conoscitiva e scientifica (“lotta per l’oggettività”[34]), che instaurante un “ordine intellettuale”, ossia “filosofica” . Questo permette di pensare le classi come figure dell’autoriproduzione del corpo sociale moderno, ossia il modo di produzione capitalisticamente formato. Non vi è, nei Quaderni, testimonianza di un riferimento diretto ai testi del Capitale. Ma se si espunge dal contesto, a dispetto della tesi centrale dell’Autore sulla “autonomia della filosofia della prassi”, la nozione di “classe” in quanto derivata da quella di “modo di produzione”,  gran parte dei temi dei Quaderni  diventano incomprensibili:  il rifiuto reciso del sociologismo[35], l’insistenza sul carattere metaforico di termini come “anatomia” della società civile[36], la critica costante della nozione ingenua, “a strati”, di “base” e “sovrastruttura”[37]; poi, e in positivo, la “creazione di una nuova cultura integrale”[38] come prospettiva storica (e  in rapporto a questa, la prospettiva “politica” del “moderno Principe”), finalmente e soprattutto, la concezione dell’egemonia (con  i relativi studi analitici sulla cultura contemporanea, e storici, sul Risorgimento italiano in particolare). Incomprensibile diventa la teoria dell’ideologia, e con lei la “Introduzione allo studio della filosofia” che ne svolge i fondamenti teoretici. Incomprensibile la discussione del rapporto tra filosofia “individuale” e “storica”, e la stessa tesi della “storicità della filosofia della prassi”38a.
Su quest’ultima basterà un cenno. La filosofia della prassi non fa “previsioni” di eventi. Ma in quanto essa è  “coscienza piena delle contraddizioni”, la sua “tesi” del “passaggio dalla necessità alla libertà”[39] compendia la radicale immanenza del suo sapere-agire  e la consapevolezza dell’orizzonte epocale che le è proprio. Un “mondo senza contraddizioni” può essere pensato qui ed ora  solo “creando immediatamente un’utopia”[40]. Pensate come superabili sono le contraddizioni del mondo in cui la filosofia della prassi insorse, conosce, opera – se è vero, appunto, e nella misura in cui diventa vero,  che essa è consapevolezza teoretica e pratica dei contrasti reali.[41]

In conclusione. Tutta la discussione dell’ “origine” della filosofia della prassi e della sua “autonomia”; del nesso di continuità-rottura che la lega al mondo moderno e alla sua forma di movimento capitalistica; dei suoi antecedenti culturali e scientifici[42]; del suo orizzonte epocale teoreticamente formulato – tutta questa discussione è orientata e sorretta in Gramsci (e già, in parte, in Labriola) da quella che, volendo, si può chiamare un’ipotesi generale. Questa ipotesi si può formulare in breve. Essa esclude di per sé la “fondazione” della filosofia della prassi in  un moto politico per quanto imponente, o in  una deduzione falsamente “speculativa”.  E’ l’ipotesi  che in quel che può esser designato, per brevità, come sviluppo e affermazione della civiltà borghese moderna, della sua egemonia in tutte le forme di vita, del suo immanente contrasto, sia presente, e perciò rintracciabile criticamente,  il doppio processo di unificazione tendenziale, di nascita della Weltgeschichte[43] e di presa di coscienza di sé del mondo degli uomini, attraverso le ideologie, la filosofia, le scienze e tutta la cultura. (Questo, del resto, è il punto contro cui è rivolta la grande filosofia irrazionalistica del ‘900, a monte delle insipide ripetizioni oggi di moda.)
Quella “ipotesi” è, innanzitutto, un orientamento al lavoro. Per questo, l’esigenza di rigore critico-filologico che Gramsci avanzava, è tutt’altra cosa  che uno “scrupolo”! Essa è parte integrante e indispensabile di un orizzonte di ricerca, di cultura, e di azione.



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3. Una novità decisiva.
Buon conoscitore – tra i pochissimi – di tutti i testi di Marx disponibili al tempo suo, Labriola aveva visto giusto e lontano: bisognava studiare il Capitale, la sola opera in cui “Marx… aveva portato a compimento la integrazione della sua dottrina”, e realizzato in modo unitario quel “nuovo indirizzo mentale”, che si trattava di portar avanti nella filosofia della prassi.[44]

Ma, a distanza di un secolo, bisogna dire: quello che è cambiato radicalmente con la MEGA2 è – intanto – il Capitale di Marx. Esso costituisce, con i suoi “lavori preparatori”, un corpus di 17 tomi, che sarà presto di 16 volumi in 24 tomi di testo. Come si spiega questo fatto?


Innanzitutto, ci si trova di fronte a una situazione assai singolare proprio dal punto di vista filologico. Marx ha lavorato alla “Critica dell’economia politica”, si può dire, per tutta la vita. Dopo la pubblicazione dei primi due capitoli, nel 1859, l’espressione  “Kritik der politischen Œkonomie” comparirà solo come sottotitolo, a partire dalla prima edizione del primo libro del Capitale nel 1867. Ma né questa edizione è definitiva, per Marx stesso,  né è completa, come tutti sanno. Il problema critico-filologico comincia qui. E  non può essere risolto applicando semplicemente il canone classico secondo cui la edizione, e poi la lettura di tutti i testi non licenziati dall’Autore, hanno da essere condotte  come sussidio all’interpretazione dell’ opus dato alle stampe, o almeno in vista di questo terminus ad quem.

Vediamo perché.  E’ accertato che il progetto iniziale di “6 libri”,  menzionato nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica (1859)[45], venne restringendosi e modificandosi. Originariamente, i “6 libri” dovevano offrire un’esposizione critica della società capitalistica come era realizzata a metà ‘800. Questa idea viene abbandonata, man mano che Marx elabora la sua propria teoria, che è teoria del  modo di produzione capitalistico, ma nella sua “media ideale”, senza il “moto reale della concorrenza”.[46]
 In altri termini, le forme di movimento svolte nell’opera che veniva configurandosi mano a mano (merce, denaro; capitale e suo “processo di produzione immediato”, trasformazione di plusvalore in capitale, accumulazione; poi circolazione del capitale e schemi di circolazione complessiva; poi trasformazione del plusvalore in figure derivate,  tassi del profitto e loro tendenze; poi capitale “puro”, riferito a sé stesso – interesse e credito; ecc.) tutte queste forme vengono sviluppate a un livello di astrazione adeguato a mettere in luce la “legge di movimento della società borghese”, che implica la sussunzione di precedenti figure  economiche e  sociali sotto questa legge stessa, la  tendenza all’ integrazione dei processi di produzione e riproduzione del corpo sociale nella forma di movimento capitalistica, la realizzazione di  un “mercato mondiale”, ecc.  – ma non è, e non può essere,  una descrizione dei singoli “capitalismi” via via realizzati  (a cominciare da quello inglese). Queste società capitalistiche sono reali, storiche configurazioni del modo di produzione nel suo movimento. Esse diventano, per motivi di metodo e di principio, oggetti scientifici ulteriori[47]. Di questi motivi di metodo e di principio, Marx si rende ragione, e dà ragione, nel corso stesso della elaborazione dei  due grandi manoscritti del 1857-58 e 1861-63. [48]
Nello stesso tempo, l’idea della esposizione critica del presente, anche dopo l’abbandono del progetto dei “6 libri”, non viene abbandonata da Marx nella sua ricerca e nella sua azione; e si deposita in studi storici, economici, di teoria politica, oltre che in parti      dell’ opera manoscritta; e, naturalmente, in grandi scritti politici, dall’ Indirizzo del 1864 fino alla Critica del Programma di Gotha del 1881.

Detto questo, torniamo alla situazione dei testi.

A)  Il Capitale, libro primo, del 1867 non è definitivo. Marx introduce modifiche non secondarie (riguardanti, fra l’altro, la forma di valore), nella 2. ed. tedesca (1872); poi ancora  nell’edizione francese, di cui ha rivisto la traduzione, del 1872-75; poi redige una serie di varianti e  per la 3. ed. tedesca (1883), uscita poco dopo la sua morte, e che sono state utilizzate da F. Engels per il testo da dare alle stampe. L’ed. inglese del 1887 e la 4. tedesca (1890), che  tengono conto in varia misura di tutti quegli interventi, sono riviste, o curate, da Engels. La MEGA pubblica ora,  in testo critico, tutte queste varianti del Capitale, libro primo. (Sezione II, vol. 5,6,7,8,9,10).

B) Il Capitale, libro primo, non è – dichiaratamente – che una parte dell’opera.(E contiene rimandi espliciti ai libri ulteriori, non pubblicati da Marx in vita.) Qui si ha la situazione più singolare, filologicamente, e il problema critico più complesso. Queste parti o “libri” ulteriori erano già state elaborate, ma non redatte in forma definitiva per la stampa, prima  della pubblicazione del 1° libro nel 1867. Quale è il loro rapporto con l’opera pubblicata?

La risposta piena e dettagliata a questa domanda, si capisce, può venire solo da un lavoro di analisi e  interpretazione, che l’edizione storico-critica rende finalmente possibile. Essa non può certo venir “anticipata” qui (né altrove: in questa materia non esistono “anticipi”). Tenendoci nei limiti dei risultati filologici già raggiunti in materia di decifrazione e datazione dei testi,  possiamo però indicare, se non la direzione,  almeno l’ambito generale in cui la ricerca potrà procedere. Questi risultati, infatti, nella loro semplicità,  segnano  un punto di non-ritorno[49]

Occorre innanzitutto comprendere che Marx (conformemente al suo metodo di lavoro), redigeva prima quaderni di estratti con note, dalla “montagna di studi, teorie, documentazioni” che ebbe a disposizione dal 1850 alla morte - oltre trenta anni di lavoro al British Museum ;  ma elaborava poi la sua propria teoria   s c r i v e n d o l a.
Chiarito questo, e ricordato che la teoria in questione è un tutto unitario – come mostrano, tra l’altro, i successivi ritorni di Marx sull’ architettura complessiva, depositati nei diversi “piani” di esposizione intera,  via via formulati  e attestati nei manoscritti[50] -  il problema principale si può riassumere in poche righe. 
Marx scrisse 3   redazioni  complessive   della sua teoria,  prima  di elaborare il ms definitivo (perduto) del I libro del Capitale, consegnato all’editore Meissner di Amburgo nel 1867. Rispetto al primitivo progetto dei “6 libri”, quest’opera non era che una piccola parte del libro sul “Capitale”.
 Ma, nel corso della scrittura della seconda redazione della teoria, verso il 1862,  Marx si propose di pubblicare  un’opera in 4 libri.   Giunse a dare alla luce il primo nel 1867. Riprese il lavoro al 2°, con più avvii di redazione, negli anni ‘70, e anche al 3°. Non gli fu dato di giungere al traguardo.
Sul lascito lavorarono F. Engels, pubblicando quel che è diventato noto come 2° e 3° libro del Capitale, nel 1885 e 1894, e K. Kautsky, traendo da una parte della seconda redazione complessiva manoscritta di Marx (1861-63), con criteri discutibili, una “Storia delle teorie economiche”, ovvero  il c.d. “IV libro del Capitale” (1905-10).

Possiamo anche rappresentare schematicamente quel che risulta di decenni di decifrazione, esame critico, studio analitico, che ci hanno dato la sezione II della MEGA2, Das Kapital und Vorarbeiten.
Ecco uno schema grafico delle 3 redazioni complessive scritte da Marx tra il 1857 e il 1865:

ms  α: 1857-58.  8 quaderni, numerati  da I a VII, + quaderno  “M” con la “Einleitung”.
Ora MEGA2 II/1 (in 2 tomi).  744 pagine di testo a stampa, + vol. di Apparato (pp. 755-1182).
Costituiscono la parte fondamentale del testo pubblicato a Mosca  nel 1939-41, poi nel 1953 a Berlino, noto come Grundrisse  o Rohentwurf, e che conteneva anche alcuni ms minori.


ms β : 1861-63. 23 quaderni a paginazione continua da p. 1 a p. 1472.
Ora MEGA2 II/3  (in 6 tomi).  2384 pagine di testo a stampa, + vol. di Apparato  ( pp. 2385 a 3219).
La prima e l’ultima parte del ms (le pp. numerate nell’originale  da 1 a 219, e da 1157 a 1472) erano inedite. Dalla parte centrale, l’edizione  secondo il  ms originale, e che ne segue generalmente l’ordine, era in MEW 26, Tomi 1-3.



ms γ: 1863-1865. Dopo il ms β, nel quale, come mostra il Vygodskij[51] nel suo libro del 1965, Marx perviene a una prima formulazione compiuta della teoria del valore, egli comincia a scrivere per la terza volta, ma ora, in vista di un testo da pubblicare: in realtà, di tratta del Terzo abbozzo del ‘Capitale’.
 Abbiamo così: - un ms di 495 p. per il  “Processo di produzione del capitale” ; un ms di 150 p. per il “Processo di circolazione”; un ms di 575 p. per il “Terzo libro: configurazioni del processo complessivo”. La paginazione è autografa.
La prima parte è perduta, salvo pochi frammenti e il c.d. “Capitolo VI”, inedito, che Marx non riprese nella  nuova scrittura definitiva, per la stampa, da lui portata all’editore nel 1867. La seconda  è una prima redazione: Marx vi pose mano di nuovo a più riprese, dopo la stampa del primo libro,  ed era rimasta inedita. La terza parte è il ms base di quello che fu pubblicato nel 1895, col ricorso anche ad altri ms più tardi, e con rimaneggiamenti e integrazioni di Engels, come “Libro terzo del Capitale’.
Questo ms y, nelle sue tre parti, di cui la 2. e la 3. integralmente conservate, viene pubblicato  per la prima volta  nel vol. II/4 della MEGA2 (tomo II/4.1: 1988; II/4.2: 1992) - un totale di 2216 pagine a stampa, con l’Apparato critico.

Da questo schema grafico risulta che non c’è “un” Grundrisse , ma tre . Che queste sono tre redazioni di un tutto, mai portato a termine. Che il Capitale  del 1867 sta “in mezzo” al lavoro di ricerca di Marx, e che solo nel flusso di questo lavoro può essere veramente compreso.  E’ una situazione insolita dal punto di vista della critica testuale: non c’è infatti, per l’opera complessiva, nessun  testo licenziato alle stampe dall’Autore.  Ma l’opera, lei, c’è, e come. Possiamo,  per la prima volta ,  studiare davvero  Karl Marx.


4. Su questo libro.
Questo volume vuole informare il lettore sullo stato dell’edizione storico-critica delle opere di Marx e di Engels. Esso dà indicazioni sul  recupero e la pubblicazione dei testi, e sui risultati raggiunti. Non pretende di offrire un panorama, o una bibliografia ragionata della ricerca che ha preceduto e tuttora accompagna l’edizione, ma solo di indicare alcuni strumenti di lavoro, che il lettore troverà nei saggi qui raccolti e nelle notizie date in Appendice. Ancor meno, ovviamente, si è mirato a dare un quadro degli studi su Marx ed Engels in corso, o di quelli cui l’edizione critica sta aprendo la via.

Manfred Neuhaus, Gerald Hubmann, rispettivamente responsabile e collaboratore del gruppo di lavoro per la MEGA2 dell’Accademia berlinese (BBAW), presentano, insieme al prof. Herfried Münkler dell’Università Humboldt, i criteri secondo i quali è ora condotta l’edizione critica, dopo le vicende che essa ha dovuto attraversare.[52]
A questo contributo fa seguito quello di Roberto Fineschi, Per la storia della MEGA, aggiornato rispetto  a una prima versione pubblicata nella rivista “Marxismo oggi”, n. 1-2, 1999, col titolo Karl Marx dopo l’edizione storico-critica: un nuovo oggetto di ricerca. Il lettore trova qui, fra l’altro,  una breve storia delle sedi in cui i risultati dell’indagine filologica sull’opera di Marx sono stati presentati e discussi,  notizie su punti salienti di quella discussione, e un’ esposizione rapida della “rivoluzione” che ne è risultata per lo studio del Capitale.
Della ricostruzione critica e pubblicazione di tutti i manoscritti marxiani (e delle redazioni engelsiane) per il Capitale, con tutti i  lavori preparatori, è finalmente in vista l’approdo. Sui “lavori in corso” per il completamento della seconda sezione della MEGA2, e sui problemi di datazione interna del corpus non ancora pubblicato, riferisce Rolf Hecker, coordinatore del gruppo di ricercatori[53] raccolti intorno alla Nuova Serie dei ”Contributi alla ricerca su Marx ed Engels” (BzMEF).
Il saggio di Malcolm Sylvers, studioso di storia del movimento operaio americano, è intitolato La biblioteca di Marx ed Engels e lo studio della storia statunitense e   italiana54. Questo saggio permette al lettore di “entrare” nella ricostruzione storico-critica dell’opera di Marx e di Engels sotto un profilo diverso, e affascinante. Infatti, l’edizione dell’epistolario nella MEGA2, con le lettere di terzi a Marx ed Engels, di conserva con  la pubblicazione (nella sezione IV) degli Estratti e annotazioni da opere non solo storiche, economiche, politiche, ma anche di scienze naturali, matematiche ecc., che i due amici fecero dagli anni 1840 agli anni 1890, offre una serie di “finestre” su aspetti essenziali della discussione scientifica e della cultura della secondo Ottocento. Di qui vengono già oggi impulsi per diversi ambiti di studio, e altri ne verranno man mano che le sezioni I, III e IV della MEGA saranno completate.
Il secondo contributo di Roberto Fineschi  offre un Resoconto sul dibattito tedesco sulla teoria del valore negli anni 1970-’80, e, sebbene tratti di un passato più vicino a noi, servirà – spero ─ anche a concluderlo, con gli onori del caso. “Passata” è, infatti, salvo   per i fulminei facitori di sintesi geniali e i rapsodici illuminatori di verità profonde, ogni possibilità di lettura “episodica” o di fraintendimento “storicizzante” del Capitale. Nonostante la contrapposizione politica e ideologica tra Est e Ovest, quella che negli anni in questione veniva chiamata lettura “logicista” si veniva mano a mano imponendo. All’est, i filologi portavano allo scoperto, nei testi manoscritti, i “piani” dell’opera cui Marx lavorò per oltre 30 anni, la loro esecuzione, le vie abbandonate dall’Autore, le ricerche demandate deliberatamente a fasi ulteriori della “ridiscesa” (o “risalita”, a piacere) dall’ ”astratto” Modo di Produzione al “concreto” delle sue configurazioni particolari. All’ovest, i più avveduti eredi della tradizione del primo Istituto per la ricerca sociale (ISF) di Francoforte sul Meno[55], lavorando analiticamente sui testi già noti, giungevano a conclusioni interpretative affini. Grado a grado, attraverso discussioni scientifiche di decenni, gli uni e gli altri mettevano in chiaro che la ricostruzione della ricerca  di Marx e del corso della sua elaborazione è qualcosa di più che una acquisizione “soltanto” filologica: essa è la base indispensabile, rispetto alla quale non c’è ritorno indietro, per la comprensione e l’utilizzazione scientifica di un edificio di conoscenza che, incompiuto dal suo Autore, ha però  rilevanza per il presente.

Anche qui, naturalmente, i problemi aperti sono più numerosi di quelli risolti, o che si sono rivelati mal posti, o pseudoproblemi, o “combinazioni casuali e bizzarre” nella diffusione e assimilazione di una grande teoria (per dirla ancora una volta con Gramsci). Ma i problemi aperti sono quelli della comprensione, interpretazione, utilizzazione, svolgimento della teoria nella conoscenza del mondo presente. Se questo è vero per ogni edificio teorico in genere, sembra difficile negare che lo sia – in modo eminente – per l’edificio, ancorché incompiuto, eretto da Marx.

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Le Appendici I, II, III  sono dovute al dr. Roberto Fineschi, che ha curato anche l’elenco delle riviste, la bibliografia italiana relativa alla MEGA2, e il prospetto delle sigle e abbreviazioni bibliografiche.  I quadri sinottici in Appendice IV  e V sono di Rolf Hecker.


[1] § 1, in  Quaderni del carcere , ed. critica, Torno 1975 (d’ora innanzi : Q), p. 419-21. Il testo ripreso e modificato nel Quaderno 16, § 2 (1933), era riportato in  Il Materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino 1948 (d’ora innanzi: MS), p. 76 ss. Le modifiche sono dunque  verosimilmente posteriori ai Quaderni 10 (“La filosofia di B. Croce”) e alla “Introduzione alla filosofia” del Quaderno 11. 
[2] Sono da tenere presenti almeno: i “Beiträge zur Marx-Engels-Forschung”, di cui uscirono, fino al 1990, 29 fascicoli; gli “Arbeitsblätter zur Marx-Engels-Forschung”, pubblicati dall’Università di Halle-Wittenberg fino al 1988, nei quali un gruppo di ricercatori diretto da Wolfgang Jahn presentava i risultati della ricerca sul “Piano dei 6 libri” formulato da Marx nel 1857, e poi abbandonato come progetto di redazione del Capitale, ma non abbandonato del tutto dall’Autore nella ricerca, e documentato in estratti,  manoscritti parziali, e opere storiche e politiche pubblicate (v. qui infra, § 3); il “Marx-Engels-Jahrbuch”, pubblicato dall’editore Dietz parallelamente alla MEGA2 , che recava materiali e documenti  (lettere di contemporanei di Marx e di Engels, recensioni, rassegne  ecc.): ne uscirono 13 volumi, dal 1978 al 1991. – Altri studi e materiali comparvero in riviste universitarie  tedesche e russe poi cessate. Per le riviste ora correnti, v. l’Appendice a questo volume.
[3] Nel testo “C”, cfr. Q, p. 1842.
[4] Gramsci era a giorno dell’avvio della prima  MEGA, e ricorda la recensione che ne fece B. Croce nella  “Critica” del nov. 1930 (cfr. Q,  p. 1240, = MS, p. 216). Non pare che egli abbia saputo dell’intervento “dall’alto” sull’ attività dello Istituto Marx-Engels di Mosca, in seguito al quale D. Rjazanov venne dapprima messo da parte, poi arrestato (1931), e infine ucciso. Sul carattere,  e sulla fine della prima MEGA v. ora  “BzMEF”, Neue Folge, Sonderband 1: David Borisovič Rjazanov  und die erste MEGA. Hamburg, 1997.
[5] V. la densa e più che mai attuale Prefazione di Valentino GERRATANA alle sue  Ricerche di storia del Marxismo. Roma 1972. L’A. mostra come  dogmatismo e facile relativismo scettico si riconducano, come due facce della stessa medaglia, alla volontà di strumentalizzare la ricerca rigorosa.
[6] Cfr. anche il saggio di  G. HUBMANN, H. MŰNKLER e M. NEUHAUS, in questo vol.
[7] Q, p. 1330 (= MS, p. 25). Ma cfr. MS p. 24 (=Q 7§45, p. 891 s.), “Quando si può dire che una filosofia ha importanza storica”; e i “Punti preliminari di riferimento”  MS p.3 ss.,  (=Q 11§12). Qui a p. 18 (1393 in Q), la distinzione tra “costruzioni arbitrarie, [che] sono più o meno rapidamente eliminate dalla competizione storica…” e “le costruzioni che corrispondono alle esigenze di un periodo storico complesso e organico”. Queste  “finiscono sempre con l’imporsi  e prevalere,  anche se attraverso molte fasi intermedie in cui il loro affermarsi avviene solo in combinazioni più o meno bizzarre ed eteroclite”.  
[8] MS 21 (“Filosofia e storia”), cfr. Q 10/II§17, p. 1255: Cfr: anche “Storia e antistoria”, MS 41 = Q, p. 1266. Se ne può ricavare che i filosofi “veri”, quelli che hanno fatto “costruzioni corrispondenti a un periodo storico complesso e organico” – o, hegelianamente, hanno “espresso il tempo in pensieri” - null’altro fecero mai che mutare il mondo. A modo loro, si capisce, cioè nelle modalità e tempi del patrimonio d’intelligenza dell’umanità. Che questi tempi possano ammontare a millenni, sa ogni giovane che venga  da buon maestro avviato a leggere, per es., Platone. Ma cfr. le osservazioni di Labriola sui Greci, in Saggi sul materialismo storico, cur. V. Gerratana e A. Guerra, Roma 19682 (d’ora innanzi: S), p. 113 (in “Dilucidazione preliminare”,  V).
[9] Principi che Gramsci formula filosoficamente, in particolare nella  Introduzione alla filosofia contenuta nel Q 11. Il piano di universalità della tesi “ogni uomo è filosofo” è quello del processo storico-sociale “umano”, in quanto azione finalistica e consapevole presente, in misura diversissima, in tutti gli uomini. Questo piano di universalità importa la  “distruzione … di tutti i concetti dogmaticamente unitari”, in quanto “espressione del concetto di ‘uomo in generale’”: l’universale non è infatti la “specie” umana, ma il processo complessivo, “ storico”.  In ciò la filosofia della prassi  – secondo Gramsci – riprende e riforma “in un certo senso” la concezione del Geist hegeliano. (cfr. Q 11§62 = MS )93 ss.) Da questo concetto dipende poi tanto la concezione dell’ideologia sviluppata nei Quaderni, quanto quella dell’ egemonia, che è un processo storico di classi (non semplicemente “politico” o “culturale”!) in quanto l’universale  si specifica in modi di produzione, ossia in figure di riproduzione complessiva del corpo sociale in forme di movimento determinate. (Cfr. la nota 16)
[10] Cfr. Q11§27, p. 1437 = MS 159. « Storicismo » è tra virgolette nel testo.  Cfr. “la grande conquista della storia del pensiero moderno… la storicizzazione concreta della filosofia” contrapposta alla “metafisica” del Saggio di Bucharin, Q11§22, p. 1426 = MS 133, e anche il §61 del Q 15, che è una aggiunta alla “Introduzione allo studio della filosofia”.
[11] Q11§27, cit. – Sullo “hegelismo” di Marx Gramsci ritorna più volte: cfr. Q1§152 = MS 70; Q10§60, p. 1356 s.
[12] E’ questo uno degli assi della critica al tentativo di esposizione fatto da Bucharin nel Saggio popolare. Cfr. le osservazioni su “scienza e sistema” (Q, p.1424 = MS 131); e la giustificazione condizionata delle esposizioni sistematiche in Q11§16, in fine(=MS 151), pur nella riaffermazione che “la filosofia di un’epoca non può essere nessun sistema individuale o di tendenza”.
[13] Porre un “principio posto dalla riflessione” (e perciò necessariamente unilaterale o parziale) come principio primo del sistema,  che “la  filosofia… diviene come una totalità del sapere…un  intiero organico di concetti… la cui legge suprema  non è l’intelletto ma la ragione” è -  un “vaneggiamento”. Questa lezione di Hegel, nella Differenza dei sistemi filosofici fichtiano e schellinghiano (1802) sembra a chi scrive così inerente alle argomentazioni di Gramsci, da porre il problema  del loro passaggio nella forma mentis sua, per vie probabilmente diverse da quelle della lettura diretta.Cfr. G.W.F. HEGEL, Werke in 20 Bänden (Suhrkamp), B. 2, S. 36. In italiano, in E. DE NEGRI, I principî di Hegel, Firenze s.d., p. 42-44; e ora in G.W.F.HEGEL, Primi scritti critici, a cura di R. Bodei, Milano 1971.
[14] Cfr. la nota 5.
[15] Dilucidazione preliminare, V. In S, p. 113. Già nel 1897 Labriola scrive del “dovere del partito tedesco… di procurare un’edizione completa e critica di tutti gli scritti di Marx e di Engels”: v. S, p. 181.
[16]Il “concetto di umanità” apparso per la prima volta “in tutta la sua estensione… senza mescolanza di idee o di presupposti religiosi” è antecedente, in Labriola, dello “storicismo obiettivo”, della “concezione processuale” che si sviluppa nel materialismo storico (S,  p. 115, cfr. 185-6). Nei Quaderni, il concetto di  “genere umano unificato mondialmente” è  innanzitutto orizzonte teoretico della filosofia della prassi, e costituisce la consapevolezza, che essa ha, della sua propria “storicità”, del non essere “filosofia ultima”, ma espressione – integrale – delle “contraddizioni”.  Questo concetto si ritrova nel principio “ogni uomo è filosofo”, che ha funzione didascalica e pedagogica sì, ma “preliminarmente”: esso è insieme  principio del “docente”, individuale o collettivo – cioè della “Introduzione alla filosofia” in quanto la filosofia-visione del mondo si esprime, appunto, in concetti “filosofici”. (Cfr. anche la nota 9).
[17] Q7§35 = MS 32. Sul carattere solo iniziale di questo “evento”, v. Q p. 1386 = MS 12.
17a Q 11 §62 = MS 93-4 e Q 10/II,§ 48.ii = MS 32 ss.
[18] Q16§9, “Alcuni problemi per lo studio dello svolgimento della filosofia della praxis”: p. 1860 e 1862-3 = MS 86, 89.
[19] “Nella storia delle cultura, che è molto più larga della storia della filosofia”, ecc. (l.cit.,  p. 1861 = MS 87). “Cultura”, nel contesto, è indubbiamente intesa nel senso “integrale”, cioè dell’ insieme delle teorie-pratiche (“ideologie”) effettivamente operanti, e della combinazione-scontro di egemonie di cui esso è teatro.
[20] L. cit, p. 1854  = MS 81.
[21] S, p. 81 (Dilucidazione preliminare, III). Ma cfr. la critica dei c.d. “fattori storici” a p. 101 ss.
[22] Cfr. la nota 15.
[23] S, p. 23.
[24] § VII, in S,  p. 110-124. Il passo cit. a p. 111.
[25] P. 123.
[26] P. 115. Per la opposizione di “storicismo obiettivo” e “storicismo volgare” cfr.anche p. 185 (Discorrendo…, II).
[27] P. 208 (in Discorrendo…V).
[28] P. 217. La formula è cara al Labriola, che la riprende nel Discorso inaugurale del 1896, L’Università e la libertà della scienza, citato poi in S, p. 232. Ma cfr. il raccordo di questo programma con il “triplice aspetto” del materialismo storico, p. 182 s., e la ripetuta affermazione che questo è iniziato, non esaurito, nell’opera di Marx e di Engels.
[29] S, p. 196.
[30] Il problema della “natura umana” insidente in ogni uomo, se “posto come punto di partenza…è un residuo teologico”. (Q7§35, p. 884 = MS 30).  “La filosofia non può essere ridotta a una naturalistica antropologia” (ivi): ma proprio per questo la domanda “che cosa è l’uomo” è sempre di nuovo teorico-pratica, ed è la “domanda prima e principale della filosofia”(Q10/II, §54, p. 1343 ss. = MS 27 ss.); e “ogni filosofo… è e non può non essere convinto di esprimere l’unità dello spirito umano, cioè l’unità della storia e della natura; infatti, se una tale convinzione non fosse, gli uomini non opererebbero, non creerebbero nuova storia…” (Q11 §62, p. 1487 = MS 93. Corsivi miei).
[31] La dimostrazione che non esiste una “natura umana” fissa e immutabile è “l’innovazione fondamentale introdotta dalla filosofia della prassi nella scienza della politica e della storia” – Q13, §20, p. 1598. Cfr. anche Q16 §11, sul significato effettivo del termine “naturale”.
[32] V. la  nota 30. La “negazione dell’’uomo in generale’, comunque si presenti” è vista come punto di passaggio, attraverso il pensiero hegeliano, a una “filosofia che si è liberata, o che cerca di liberarsi, da ogni elemento ideologico  unilaterale o fanatico” per giungere alla “coscienza piena delle contraddizioni,” ecc. (Q 11 §62, p. 1487 = MS 93-4).
[33] Q10/II § 41.xii, p. 1321. Cfr. anche p. 1570, 1595.
[34] Cfr. la discussione della conquista progressiva di oggettività, anche  nelle scienze, in Q11 §37, p. 1457 (=MS 54s.); e la nozione di “sperimentazione scientifica come prima cellula del nuovo metodo di produzione” in Q11 § 34, p. 1449.
[35] Cfr. Q11 §25, p. 1428 ; e anche p. 1433, 1491, 1583, 1926.
[36] Q10/II § 41.xii . Qui è argomentato il “nesso necessario e vitale tra struttura e superstruttura” – p. 1321 ; “per la filosofia della prassi le ideologie sono tutt’altro che arbitrarie” – p. 1319; ecc. – Cfr. anche il § 50 del Q 11.
[37]V. la discussione dello “inveramento… della concezione ‘soggettivistica’ [cioè della filosofia classica moderna] nella concezione delle soprastrutture” in Q 11 § 17 (cit. a p. 1415). E’ ben  noto che questa discussione è al centro della critica di Gramsci alla filosofia di B. Croce.
[38] Cfr. i luoghi cit. alle note 18 e 19.
38a Un esempio optima forma della ritraduzione di testi di Gramsci nei concetti della sociologia dei gruppi si può leggere in Norberto BOBBIO, Gramsci e il problema della società civile. Rist. Milano, Feltrinelli 1976.
[39] Cfr. Q 11 §62 =MS 93 ss., più volte cit.
[40] Q, p. 1488 = MS 94. La nozione di « utopia » nei Quaderni è alquanto diversa da quella corrente. La assunzione di un momento del processo complessivo come fondamento del processo (cfr. nota 13) è “creazione di utopia”. Così la religione cristiana, con la affermazione teorico-pratica  dello “uomo in generale” (tutti sono figli di Dio, ecc.), è “la più gigantesca utopia… apparsa nella storia, il tentativo più grandioso di conciliare in forma mitologica le contraddizioni reali della vita storica” (ivi).
[41] Cfr. anche le note 9 e 16, e i luoghi  ivi cit.
[42] Sul modo in cui Gramsci prende le distanze dalla teoria di un certo numero di “fonti e parti integranti del marxismo”, si vedano Q10/II §9, p. 1246 s. = MS 90; Q11 § 33 (=MS 128 ss.); Q11 § 65 = MS 92 (“Filosofia, politica, economia”). In questi passi, l’A. riprende e sviluppa il nesso teoretico schizzato nel breve § 18 del Q 7 (=MS 91s.).
[43] “La storia mondiale non è esistita sempre… la storia come storia mondiale [è] risultato” – annota Marx come uno degli otto “punti da tener presenti”, al termine dalla  “Introduzione” del 1857 ai Lineamenti. Cfr. MEGA2, II/1, p. 44.
[44] S, p. 217 e 184s.
[45] MEGA2, II/2, p. 99. Un primo progetto di suddivisione della materia, più articolato, era  nella Introduzione del 1857, non pubblicata da Marx (MEGA2 II/1.1, p. 43. V. ora in Roberto FINESCHI, Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del ’Capitale’. Napoli, Città del sole, 2001, p. 416 ss.
[46] Cfr. in MEGA2 II/4, p. 852-3; anche p. 215, p. 178 et aliter. Questi passi del ms del 1864-65 per il “Terzo libro” del Capitale erano del resto conservati nell’edizione curata da Engels. Cfr. in MEW, 25, rispettivamente p. 889 (in fine della “Formula trinitaria”), 151 (inizio della II sezione), (inizio di cap. 6, § II); e si ritrovano nelle traduzioni italiane.
[47] Un grande storico del ‘900, F. Braudel, ha formulato la cosa con ammirevole semplicità. **
[48] Per i successivi “piani”di Marx per la architettura della teoria, si vedano i quadri sinottici nelle Appendici III e IV di questo volume.
[49] Anche se tolgono a nessuno, beninteso, quella peculiare   libertà  ermeneutica che va alla  ricerca “sintomatica” del “non detto” nei testi, “liberati”così, anche loro, dal “contesto” dei problemi che l’Autore, scrivendo, cercava di affrontare. 
[50] Cfr. le Appendici  III e IV.
[51] V.S. VYGODSKIJ, Storia di una grande scoperta di Karl Marx (in russo). Mosca, Mysl, 1965. Quest’ opera essenziale del grande filologo fu pubblicata in Italia nel 1974 con il titolo fuorviante di Introduzione ai ‘Grundrisse’ di Marx – dovuto forse alla voga di cui i Lineamenti godevano nella moda culturale dell’epoca.
[52] Il saggio La MEGA2: riorganizzazione  e continuazione era apparso in forma diversa, e con altro titolo, nella  “Deutsche Zeitschrift  für Philosophie” (DZfPh), a. 49(2001), 2, pp. 299-311. Gli aggiornamenti introdotti nella versione qui presentata sono dovuti al prof. M. Neuhaus.
[53] Contributo originale per questo volume. La traduzione è di R. Fineschi.
54 Una versione più ampia l’ A. aveva dato nel vol. LI degli “Studi storici Luigi Simeoni”, Istituto per gli studi storici veronesi, Verona 2001. M. Sylvers, docente all’ Università Ca’ Foscari di Venezia, prepara, insieme con G. Fülberth (Marburgo) e J. Scheele,  l’edizione del vol. III/29 della MEGA2.  E’ disponibile in italiano la sua monografia Il pensiero politico e sociale di Th. Jefferson. Lacaita, Manduria-Bari 1993.
[55] Sui rapporti di collaborazione scientifica dello  ISF di Francoforte con lo  IME di Mosca negli anni ’20, v. BzMEF, NF, Sonderband 2, Hamburg 2000.

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